CRM, don’t call me software! Parte #2

CRM, don’t call me software! Parte #2

Customer Relationship Management

Conoscere i miei clienti

Conoscere, personalizzare e ingaggiare

Quello che abbiamo detto nella puntata precedente sul CRM, deve avere come base di partenza la conoscenza dei nostri utenti/clienti, perché per creare dei percorsi pertinenti e rilevanti dobbiamo conoscerli, dobbiamo ingaggiarli e dobbiamo offrire personalizzazioni.

Ma cosa vuol dire conoscere i miei clienti?

Bè, nell’atto pratico, conoscere i miei clienti vuol dire riuscire ad avere un vista unica del “consumatore”, andando ad unire e connettere i dati che si hanno da diverse sorgenti e device, ad esempio.

Vuol dire avere dati affidabili e utilizzare i dati di prime, seconde e terze parti. Vuol dire impostare segmenti di pubblico pertinenti, e anche scoprire, costruire e raggiungere nuovi segmenti di pubblico.

Vuol dire infine avere un piano di misurazione e fare analisi, per capire il comportamento dei clienti sui diversi canali e riuscire ad agire in base ad esso…

A cappello di tutto questo c’è un altro dato della ricerca Salesforce vista nell’altra puntata sul CRM, che ci dice che il 76% dei consumatori si aspetta che le aziende comprendano i loro bisogni e le loro aspettative.

Una volta che ho unito le viste, preso i dati di prime e terze parti e impostato i giusti segmenti, posso iniziare a personalizzare.

76% of consumers expect companies to understand their needs and expectations

“State of the Connected Customer”, Salesforce Research

Personalizzare le comunicazioni

Contenuti giusti, alle persone giuste, nei momenti giusti

Quando si parla di personalizzazione si associa spesso la Marketing Automation; più avanti sicuramente qui ci sarà un bel link sul tema, ma al momento mi limito a proseguire dicendo che, per personalizzare, devo cercare di sfruttare in modo furbo l’intelligenza artificiale.

Grazie all’intelligenza artificiale – e alla sua sensata interpretazione – posso ascoltare e interpretare gli intenti dell’utente e, ovviamente, rispondere a questi intenti se possibile.

Devo quindi personalizzare il contenuto andando a creare e associare il contenuto giusto con il canale giusto e devo anche capire e personalizzare il timing con cui mando le mie comunicazioni. Il timing chiaramente sarà ben diverso da settore a settore, pensate un Amazon o un Groupon che non genera grossa noia se manda un’email ogni giorno, ha (quasi) sempre potenzialmente qualcosa di interessante da mostrarci, a differenza della nostra assicurazione, della banca o del fornitore di energia elettrica…

Il dato che portiamo in evidenza qui è che una persona su due cambierà brand se ritiene che il brand non stia personalizzando (sempre ricerca Salesforce).

Quindi devo conoscere il cliente, personalizzare le comunicazioni a lui rivolte e infine fare in modo di essere presente con queste personalizzazioni in tutti i touchpoint, ingaggiare l’utente in tutto il Customer Journey.

52% of consumers will switch brands if a company doesn’t personalize communications to them

“State of the Connected Customer”, Salesforce Research

Ingaggiare il cliente

Impegnare l’utente in tutto il suo percorso

Dobbiamo cercare di “impegnare” l’utente in tutto il percorso, coinvolgendo e integrando quindi ogni touchpoint, usando veramente la multicanalità. Questo significa mettere a leva un piano che sia integrato tra l’online e l’offline, due facce della stessa medaglia, perché l’utente è sempre uno che in base a molte variabili (interne ed esterne) interagisce con touchpoint nel mondo dei bit o nel mondo degli atomi.

E anche qui il dato che portiamo in evidenza racconta che una persona su due ritiene che le aziende/brand non siano all’altezza delle aspettative.

L’impatto del “marketing intelligente” e di un approccio orientato alla persona ci permette di crescere con tantissimi indicatori chiave di performance, perché possiamo massimizzare il ROI, aumentare il CR, ovvero la qualità e il volume dei lead, l’efficacia delle nostre campagne di marketing ecc.

cit. 51% of customers say most companies fall short of their expectations

“State of the Connected Customer”, Salesforce Research

Il Marketing Relazione

Da Drucker in poi…

Tutto il filone dell’orientamento all’utente ha radici nel passato, anche se è a cavallo degli anni 80 e 90 che inizia ad insinuarsi un nuovo concetto, un nuovo paradigma che vede il consumatore come leva del cambio nell’approccio di marketing.
Si tratta del passaggio da one to many a one to one, alla personalizzazione, alla ricerca della soddisfazione dei propri segmenti di audience, qualcuno direbbe dalla massa alla nicchia, anche se di massa ancora parliamo.

Quindi un effettivo cambio di approccio, perché il vecchio modello di comunicazione monodirezionale e dal pulpito non funziona più (anche se ancora qualcuno non ci crede).

Senza propinare eccessiva teoria e/o storia del marketing, una prima bozza di approccio relazionale l’abbiamo già dagli anni 50 del secolo scorso, visto che nel 1954 Drucker scriveva che “il marketing […] è l’intero business visto dalla prospettiva del suo risultato finale, cioè dal punto di vista del cliente”.

Nella realtà ci sono voluti 50 anni da allora prima che anche l’American Marketing Association cambiasse la sua definizione di marketing, focalizzando l’attenzione sulle forti relazioni con i clienti (2004), però in ogni caso possiamo collocare a ridosso degli anni 80 la vera e ufficiale nascita di questo orientamento alla relazione (clientecentrico, one to one ecc.).

Tipicamente il marketing relazionale è composto da quattro fasi:
.1 identificare
.2 differenziare
.3 interagire
.4 personalizzare

Dobbiamo quindi conoscere i nostri clienti e identificarli.

Di base, se ho fatto i compiti per casa, e quindi ho tracciato correttamente il cliente, posso sapere quando apre un’email, quando viene sul sito, quando fa un acquisto e magari anche quando entra in negozio grazie al marketing di prossimità. Pertanto sono in grado di identificarlo grazie ai dati che raccolgo e che elaboro in informazioni, dopo averli organizzati.

Questi dati saranno fondamentali per personalizzare le comunicazioni e in queste personalizzazioni cercherò la massima interazione e il più proficuo ingaggio con il mio cliente/prospect, sempre tenendo in considerazione tutta la sua storia. Ad esempio, per banalizzare, se ho con lui una pratica aperta per un reso o un disservizio, finché la pratica non è risolta è piuttosto inutile che lo tempesto di email in cui gli chiedo se vuole comprare un altro mio prodotto…

Ma la stessa cosa può essere se ha appena comprato un nostro prodotto x, potrebbe non aver senso scrivergli subito se vuole comprare anche y, a meno che non siano correlati e connessi tra loro (lo vedremo parlando di Marketing Automation). Potrebbe invece essere più proficuo condividere con lui dei contenuti in cui parlo del prodotto che ha appena comprato, gli spiego le funzionalità “segrete”, faccio un sondaggio per capire se ci sono pain points o sweat points che non conosco et similia (il buon vecchio care, che molti si dimenticano).

Le fasi del Marketing relazionale

Identificare, differenziare, interagire, personalizzare

Fase 1 – Identificare

Quindi la prima azione consiste nell’identificare la propria clientela, perché è indispensabile conoscere in modo appro­fondito interessi, abitudini, inclinazioni, simpatie e informazioni generali dei propri clienti. Le informazioni che servono per identificare il cliente possono essere di qualsiasi tipo, l’importante è che siano efficaci per distinguere un determinato cliente da un altro.

Fase 2 – Differenziare

Dopo aver identificato i clienti bisogna differenziare i segmenti di audience a seconda del valore che possono generare e delle diverse esigenze che hanno, dando quindi priorità ai clienti più pregiati (per ottenere un maggior vantaggio) e accomodando il comportamento dell’impresa alle esigenze particolari di ogni singolo cliente.

L’azienda, per riuscire nella seconda fase della differenziazione, dovrebbe ordinare i propri clienti attenendosi al loro valore e solo in seguito differenziarli, prendendo atto delle loro necessità.

Questo è un passaggio cruciale, perché ci riporta un po’ brutalmente al business; stiamo dicendo che dobbiamo trattare clienti diversi in maniera diversa e per farlo dobbiamo saper riconoscere gli elementi distintivi che danno origine a questa diversità.

Parlando di business, questa diversità è data dal valore che i clienti rivestono per l’impresa e riuscire a calcolarlo consente di «stabilire un ordine di priorità ai propri sforzi, indirizzando le risorse per assicurarsi la fidelizzazione dei clienti più pregiati» (vedi Don Peppers). Quindi qui entra a gamba tesa la nozione di valore di un cliente, di LTV (Lifetime Value).

Sa va san dire, le prime strategie che dovremo mettere in atto saranno quelle legate al core business della nostra azienda, ai “Clienti Più Pregiati” cioè quelli che hanno il più alto LTV (LifeTime Value) attuale; seguiranno poi le strategie per i clienti “Clienti Coltivabili”, con un grande valore strategico non realizzato, LTV inferiore rispetto ai primi, ma con un grande potenziale di crescita in futuro ad esempio.
L’ultimo segmento sarà dei cosiddetti “Clienti Sotto Zero”, che non renderanno mai entrate sufficienti a giustificare investimenti effettuati per seguirli e quindi qui dovremmo trovare le leve giuste per incentivare la loro redditività, oppure sempre per dirla con Peppers, «incoraggiarli a diventare i clienti non redditizi di qualcun altro».

Fase 3 – Interagire

Il terzo passaggio si adempie nell’interazione con il cliente e l’obiettivo prioritario è quello di massimizzare l’efficienza e l’efficacia delle interazioni. L’efficienza delle interazioni si massimizza gestendole attraverso canali convenienti ed automatizzati, mentre per incrementare l’efficacia bisogna acquisire solo informazioni che possano essere essenziali per carpire le specifiche esigenze dei clienti, dimensionando in modo preciso il loro valore potenziale.

Ogni singola interazione, oltretutto, dovrebbe collegarsi e richiamare tutti i precedenti contatti con quello specifico cliente, sempre per garantire un’esperienza lineare e fluida.

Per le imprese è fondamentale occupare i propri clienti in un dialogo continuo che consenta una sempre maggiore e precisa conoscenza delle loro necessità, dei loro interessi e delle loro esigenze.
L’identificazione e la differen­ziazione sono azioni velate, tendono a rimanere non visibili nella relazione tra cliente e impresa, mentre l’interazione è tipicamente la prima iniziativa effettivamente visibile per l’audience, è la parte visibile del processo. Questo suo essere “manifesta” può portare ulteriori vantaggi, perché il cliente coinvolto ha la percezione che si tratti di un’azienda veramente interessata alla sua specifica risposta/azione/richiesta.

Fase 4 – Personalizzare

L’ultimo punto da seguire per realizzare un’operazione di marketing relazionale consiste nel personalizzare alcuni comportamenti dell’impresa attenendosi alle particolari esigenze del cliente e al suo valore.

Sempre Peppers dice infatti che «la parte finale della produzione o dell’erogazione del servizio deve essere in grado di trattare un cliente parti­colare in maniera diversa sulla base di ciò che il cliente stesso ha detto durante le sue interazioni» con le varie aree dell’impresa, con i vari touchpoint.

Un’azienda riuscirà ad attuare la personalizzazione solo se modificherà il suo comportamento nei confronti di ogni singolo cliente. Ci sono contesti e settori, come quello dei servizi, soprattutto nei casi di imprese che erogano servizi costosi o sofisticati (vedi b2b, quindi ad altre aziende), dove personalizzare è attività d’uso “quotidiano” e lo è da diverse decadi, perché ogni cliente ha l’esigenza di ricevere un trattamento differente.
Invece, le imprese che fondano i loro business su prodotti poco costosi o “semplici” tenderanno a personalizzare solo le esigenze dei clienti più pregiati, perché è un processo costoso. Se un cliente però genera da solo una parte significativa del fatturato, è nell’interesse dell’impresa cercare di soddisfare tutti i suoi bisogni.

Dall’altra parte, se riusciamo a produrre qualcosa seguendo le indicazioni del cliente, possiamo ridurre i costi di magazzino e immettere più velocemente nuovi prodotti sul mercato, diamo del boost a tutto il giro di giostra.

Nel momento in cui la nostra azienda, creando un prodotto o un servizio personalizzato, modifica il proprio comportamento per adeguarlo alle esigenze del singolo, il beneficio al cliente non è determinato dalla capacità dell’impresa di personalizzare, ma piuttosto dalla capacità di soddisfare le sue richieste.

L’impresa che desidera perseguire l’approccio relazionale, non dovrà limitarsi ad una sinergica organizzazione degli strumenti e dei mezzi di interazione, ma dovrà altresì implementare una strategia coordinata per ogni cliente: se un nostro cliente sta cercando un investimento, non ha molto senso proporgli un finanziamento.

Nella prossima e terza puntata di CRM, Don’t Call Me Software vedremo finalmente cos’è questo benedetto CRM (appena disponibile lo linkerò qui, promesso).

Reference

Qualche riferimento relativo all’articolo

Per i dati Salesforce la reference è sempre Andrea Buffoni con “State of the Connected Customer”, Salesforce Research.

Per la parte relativa al Marketing Relazionale vedi Peter Drucker, Len Berry, Don PeppersMarketing One to One, Manuale operativo del marketing di relazione, Christian Gronroos  e altri. Per la segmentazione/differenziazione dei clienti vedi soprattutto Dimitri MaexIl fascino dei numeri.

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