Zero Moment of Truth e Micromoments
First e Second Moment of Truth
Partiamo da un acronimo, FMOT, che è il concetto di First Moment of Truth – il primo momento della verità.
Siamo nel 2005 e Procter & Gamble ha definito il lasso di tempo, specifico dell’esperienza cliente nei supermercati, che rappresenta il primo momento della verità, quando ci troviamo davanti allo scaffale e decidiamo quale prodotto spostare nel nostro carrello…
Basta una manciata di secondi (7 per essere precisi) e molte variabili che però non vedremo nello specifico qui e che riguardano la familiarità con il prodotto/brand, la forza del brand, il packaging, la posizione sullo scaffale (rigorosamente pagata come tutti i placement del mondo) e via discorrendo.
A questo primo momento della verità ne seguiva tradizionalmente un secondo (appunto SMOT, Second Moment of Truth) che rappresentava – ragionevolmente – l’esperienza e l’uso del prodotto comprato, che porta quindi il consumatore ad essere soddisfatto o meno dell’esperienza, incline o meno a ripetere l’acquisto.
![First Moment of Truth](https://www.webmanwalking.it/wp-content/uploads/2021/02/first-moment-of-truth-zmot-1-e1612450079794.png)
Zero Moment of Truth
Nel 2011 Google cambia la prospettiva in modo radicale e introduce il momento zero della verità, lo zero moment of truth, per gli amici ZMOT.
E’ il momento in cui l’utente ti scopre online dopo aver ricevuto uno stimolo di qualche tipo ed è pertanto l’inizio del viaggio del nostro cliente con il nostro brand/prodotto/servizio, aprendo la strada all’idea (drammaticamente reale) che il processo decisionale che ci porta ad essere allegri accumulatori di robe (direbbe Verga) sia una successione di molti micro momenti.
Stiamo parlando di quel pre-frame che il cliente (o meglio, l’utente in questa fase) inizia a crearsi affinando man mano le sue ricerche di informazioni nei nostri confronti, in tutti i canali dove si sente confidente e sicuro.
Quindi, qui ci possiamo mettere tutti i canali digitali che possono esistere, a pagamento, di proprietà o guadagnati (vedremo nelle prossime puntate la cosa).
Ed è in questo contesto che – sempre Google – rincara la dose e inizia a parlare di micro moments, di frammenti, o meglio i momenti, che compongono il “nuovo” customer journey adattato ad una logica di acquisto mobile.
![Zero Moment of Truth](https://www.webmanwalking.it/wp-content/uploads/2021/02/zero-moment-of-truth-zmot-2-e1612450035983.png)
I micro moments
Il fatto di essere in mobilità è cruciale, perché le nostre navigazioni da cellulare rompono e mescolano i tre momenti che abbiamo visto prima (ZMOT, FMOT, SMOT); ci spostiamo da Facebook al sito aziendale, dal sito a Trustpilot per leggere una recensione e da lì ad Amazon per farla a nostra volta… e poi torniamo su Google ad indagare altre chiavi, sempre più specifiche, sempre più mirate, o fotografiamo un QR Code, o inseriamo in una campo di ricerca un codice prodotto, seguiamo una stories and so on. Insomma, un gran bel casino!
Ma alla base di tutto c’è il fatto che, per sviluppare una strategia capace di influenzare le decisioni dei nostri consumatori, dobbiamo conoscere e capire i micro moments che caratterizzano il loro customer journey.
I micro moments ci accompagnano in tutta la nostra giornata e sono momenti di contatto critici, in cui gli utenti pretendono risposte tempestive alle loro richieste di sapere, andare, fare o comprare.
As usual, Google non si limita a dirci cosa succede, ma ci dice anche cosa dobbiamo fare per vincere la competizione nel mobile…
Be There, Be Useful, Be Quick and Connect the Dots…
E per chi fosse colpito dal bias del senno di poi, quello che si deve fare sembrerà banale: l’indicazione di Mountain View è infatti di essere presenti ogni volta che l’utente ha un’esigenza e fornire all’utente risposte complete, pertinenti e tempestive ai suoi stimoli/intenti di ricerca.
Quindi:
- Be There: esserci in mobilità con ogni canale che si può presidiare e che risponde a esigenze dell’utente e quindi esserci come risposta a diversi intenti di ricerca. Va bene ovviamente il momento vicino all’acquisto, il To Do / To Buy, ma serve anche il To Know (vedremo parlando del framework di Avinash quanto sia importante presidiare gli stage lontani dall’acquisto).
- Be Useful è fondamentale, perché se non si è utili nel momento in cui si viene interpellati, sicuramente l’utente non continuerà il percorso e con buona probabilità non tornerà in un secondo momento. E la nostra utilità deve essere in tutti i momenti, anche qui, dalla scoperta all’azione. Quando si può, ovviamente, è vincente anticipare i bisogni del consumatore.
- Be Quick, perché il consumatore non ha tempo da perdere e, soprattutto, non ha tempo di aspettare che la pagina che sta consultando dal suo smartphone impieghi 10 secondi per caricare l’immagine in evidenza (by the way, ricordatevi che di solito un ambiente è lento quanto il suo più lento elemento). L’aspettativa è alta e il consumatore vorrà una navigazione fluida, chiara e senza intoppi di sorta; se non la trova, andrà altrove nel battito di un click/tap.
- Connect the Dots, perché come vedremo non esiste l’utente desktop e l’utente mobile, ma esiste l’utente. L’utente è unico, mentre potrebbero essere diversi i suoi frastagliati percorsi tra touchpoint, canali, dispositivi e intenti di ricerca. Bisogna riuscire a dare il giusto peso alle azioni che mettiamo in campo e che misuriamo, senza dimenticarci la differenza che intercorre tra attribuzione e incrementalità.
Ma quindi, quali sono questi famosi micro moments?